Vampiri che amano troppo. Sazia di sangue, la telespettatrice si emoziona

Tra un morso e l'altro, ci sono finalmente arrivata. La risposta mi è balenata in mente guardando il settimo episodio (meglio tardi che mai, lo so, c'è speranza per tutti). Ora tutto quel sangue e quel sesso assumono per me un significato più profondo... o così mi giustifico mentre sbavo davanti alla serie più hard e più gore della TV.
Quelle raccontate nella terza stagione di True Blood sono tutte storie di amore disfunzionali. Relazioni squilibrate e pericolose, basate spesso sull'abuso e la dipendenza affettiva. Amori distruttivi che condannano i loro protagonisti all'infelicità. Ecco il grande tema di fondo della stagione.

Sookie e Bill, come Jessica e Hoytt, sono prigionieri di un amore fortissimo e forse impossibile: un umano e un vampiro, inconciliabili come il giorno e la notte, la vita e la morte, il calore dei sentimenti e la freddezza dell'istinto. La pericolosità della loro relazione emerge di nuovo con forza quando Bill per salvarsi "abusa" di Sookie e rischia di ucciderla... e lei, come tante donne vittime dai loro uomini, si ostina a discolparlo davanti a tutti.

Con ben più cinismo, i genitori di Sam Merlotte e Tommy abusano ripetutamente del figlio minore che, nonostante tutto, li giustifica, perpetuando la loro relazione malata.

Il lupo Alcide è ancora innamorato, suo malgrado, di quella tossica di Debbie, tanto stupida quanto pericolosa.

Anche quella tra Bill e Lorena, la sua creatrice, è una relazione distruttiva in cui ognuno fa del male all'altro. Lei ho ha condannato all'infelicità ma, a modo tutto suo, lo ama, destinata a non essere mai ricambiata, anzi a morire proprio per mano del suo amato.

Ne sappiamo ancora poco ma sembra che anche Crystal e i suoi familiari siano prigionieri di un rapporto violento e tragico.
In modo molto diverso, lo sono anche Lafayette e la madre.

In definitiva, è proprio questo amore cieco, irrazionale, autodistruttivo e più potente anche dell'istinto di sopravvivenza a rendere tutti quei freak - vampiri, licantropi, mutaforma e sensitivi - molto umani.

Risposte ai problemi della vita # 27

"Mentre tutti erano lì fuori a vivere la loro vita, io ho sprecato la mia guardando la TV, perché nel profondo sapevo che un giorno mi avrebbe aiutato a salvare il mondo".

Fry, Futurama

Risposte ai problemi della vita # 26

"Suonare il blues non serve a farti stare meglio, ma a far stare peggio chi ti ascolta. E a ricavarne qualche soldo, già che ci sei".

Gengive Sanguinanti Murphy, The Simpsons

Sookie pioggia di sangue. La telespettatrice assetata

La prima stagione di True Blood gettava uno sguardo inedito alla figura del vampiro: tra canini e catene d'argento, mutaforma e serial killer la serie faceva riflettere in modo originale su diversità e pregiudizio, dipendenza dalle droghe e sfruttamento.

La seconda stagione, con le milizie del sole decise a sterminare i vampiri, echeggiava il fanatismo religioso dell'era di Bush jr, la guerrra santa, il ku klux klan e il sarificio di Cristo.

La terza stagione... beh per ora ci ha offerto sogni erotici e lotte tra cani, vampiri contro lupi mannari, piogge di sangue, decapitazioni, amanti che si dissanguano a vicenda e un brutale amplesso vampiresco con giramento di testa in stile esorcista. Insomma, sesso selvaggio e litri di sangue. Cos'altro chiedere... se non "Sì, sì, ancora!"

Parenthood. Genitori, figli e la telespettatrice in dolce attesa


Sarà per la piccola Stella che ho nella pancia e che nascerà tra pochi giorni.

Sarà per la musica di Paul Simon e Bob Dylan che sempre mi tocca il cuore.

Sarà per lo spirito hippie di Berkeley che si sente nell'aria, nei discorsi e nei trascorsi della famiglia Braverman.

Sarà per Lauren Graham che è un piacere ritrovare in un altro ruolo di mamma.

Sarà per Peter Krause che non può fare a meno di risultare simpatico.

Sarà per il sole della California.

Sarà per i dialoghi brillanti e i personaggi interessanti.

Sarà per il ricordo ancora vivo di due memorabili visite a Berkeley in momenti speciali della mia vita.

Sarà per tutti questi motivi e forse altri ancora che adoro Parenthood.
E non posso fare a meno di commuovermi davanti alle vicende di genitori e figli di casa Braverman.
E' più forte di me.

Risposte ai problemi della vita, # 25

"Non ho bisogno di un compleanno perché mi compro già da solo tutti i regali che voglio e, siccome bevo, spesso sono anche una sorpresa".

Tracy Jordan, 30 Rock

Nurse Jackie. La telespettatrice tentata da un nuovo medical... D'OH!

E' un'infermiera come non ne abbiamo mai viste prima. Riunisce in un solo, eccentrico personaggio la determinazione di Carol Hataway in E.R., la risposta pronta di Carla in Scrubs e la dipendenza dagli psicofarmaci di Dottor House. E' Nurse Jackie, infermiera strafatta di antidolorifici con un marito perfetto a casa e un amante medico e spacciatore in ospedale, un forte senso della giustizia, un'atavica carenza di sonno e lo sguardo intenso di Edie Falco.

Ok, ci sono ricascata: eccomi agganciata all'ennesimo medical... Ma questo promette di essere, come dicevano i Monty Python, Qualcosa di Completamente Diverso. Lontano dai sentimentalismi di Grey's Anatomy, dalla frenesia virtuosistica di E.R., dalle gag di Scrubs, dalla depressione in cui è scivolato House che se continua così si trasferirà a LA per unirsi a quei quarantenni senza speranza di Private Practice.

Anche qui abbiamo medici arroganti, infermiere alle prime armi, pazienti da salvare e altri che vorresti strangolare, morte e speranza, dedizione al lavoro e cinismo in parti uguali. Ma il tutto, per una volta, è visto attraverso gli occhi di un'infermiera. Perché "i medici diagnosticano, le infermiere curano".
Aggiungeteci una doppia vita pericolosa e, attenzione, mai si era visto prima in un medical, una famiglia affettuosa. E, su tutto, la distaccata ironia (potere delle droghe) con cui la nostra Jackie affronta le situazioni più assurde.

Che direzione prenderà la serie? Dove ci condurranno Jackie e colleghi? Dopo la visione delle prime due puntate, posso affermare che non ne ho idea. Ed è proprio per questo che li seguirò.

Occhio alla penna! Jenji Kohan

La rubrica sugli autori dei telefilm, prematuramente scomparsa dopo poco più di un anno di vita, uccisa dalla Crisi e rimpianta dai suoi amici più cari, si chiude come era iniziata: con una delle poche autrici donne. Go girls!


Ecco l'ultimo dei pezzi scritti per TFM e, per mia distrazione, ancora non riproposti sul blog.
Pubblicato su Telefilm Magazine n°51, maggio 2009, rubrica "Occhio alla penna"

Non si fanno preferenze tra fratelli qui a TFM, così dopo aver dedicato la rubrica del mese scorso a David Kohan, ora è il turno di Jenji, sua sorella.

Benché figlia d’arte, l'ultima dei Kohan si guadagna il successo lavorando sodo... fin da piccola: con una mamma scrittrice e un papà commediografo, le cene in famiglia sono sempre una palestra per affinare lo humour. “Le risate non erano concesse facilmente. Le battute sulle funzioni corporali poi, seppure divertenti, erano squalificate perché troppo facili!”.

Anche nella carriera, nessuna scorciatoia: il suo 1° lavoro nello show business consiste in caffè e fotocopie. Poi riesce a entrare nel team di scrittori de Il principe di Bel Air, Una mamma per amica, Innamorati pazzi, Sex and the city.

Ma il traguardo è ancora lontano: Jenji propone ben 15 piloti prima di realizzare finalmente un telefilm tutto suo. E’ Weeds (2005-in onda), dimostrazione del suo talento e della sua perseveranza.
"Suburban widow. Pot-dealing mom": così lo presenta nel pitch ai dirigenti di Showtime. Non esattamente un progetto facile da vendere! Ma Jenji ama i personaggi imperfetti, quelli che commettono errori. Non crede nelle divisioni nette in buoni e cattivi, bianco e nero, perché “la gente reale tende a collocarsi nel mezzo”. Ed è per questo che il grande pubblico si riconosce subito nell’America suburbana di questo “show sulle zone grigie”.

Chiudiamo con la classifica dei premi di famiglia: ancora imbattuto papà Buz con 11 Emmy, solo 1 a testa per i figli, Jenji e David, ma tante nomination… continuate così ragazzi, ce la potete fare!

Occhio alla penna! Ricky Gervais

Ho ritrovato, sparsi nel mio pc, un paio di pezzi scritti per TFM, e già pubblicati da un pezzo, che avevo dimenticato di proporre sul blog. Ecco il primo.
Pubblicato su Telefilm Magazine n° 45, novembre 2008, rubrica "Occhio alla penna"

Negli ultimi anni la TV americana ha avuto un re inglese. E' Ricky Gervais, sceneggiatore, attore, produttore e comico del Berkshire che nel 2005 vanta ben 3 show in onda contemporaneamente nella patria dei telefilm.
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Il successo per lui arriva tardi. Con una laurea in filosofia e un breve passato da popsinger, Gervais lavora come manager per una radio londinese. Tentato dall'emozione del microfono, si ritaglia uno spazio notturno che ottiene altissimi ascolti; lo affianca il suo assistente Stephen Merchant, partner artistico di molte future creazioni. I due vanno tuttora in onda ogni domenica.
fff
La vena comica dimostrata on line e l'esperienza di lavoro manageriale si traducono in The Office (2001-03) miniserie che la coppia scrive e dirige insieme per la BBC: un mockumentary sulla vita quotidiana degli impiegati di un ufficio nei sobborghi di Londra. Gervais da vita al protagonista, l'insopportabile, indimenticabile Brent, vera icona televisiva. E' il più grande successo della TV britannica di tutti i tempi: esportato in 80 paesi, vanta una versione tedesca, canadese, brasiliana e infine una americana per la NBC (2005-08), acclamatissima, di cui Gervais è guida creativa e produttore esecutivo.
fff
Il commediografo inglese colleziona premi ai due lati dell'oceano. E' ormai una star. Così, con l'amico di sempre, scrive e dirige Extras (2005-07), per BBC e HBO, satira sulla cultura della celebrità, i suoi eccessi, le sue frustrazioni; il tutto visto attraverso un aspirante attore costretto a fare la comparsa, interpretato, naturalmente, da lui stesso. La serie è anche uno sguardo ironico sulla TV inglese e le sue peggiori sitcom. I commediografi che Gervais più ammira, infatti, sono americani: Larry David (Seinfeld), Mitchell Hurwitz (Arrested Development) e tutto il team creativo dietro I Simpson, “il più grande traguardo raggiunto dall'uomo dopo lo sbarco sulla luna”. L'ammirazione è reciproca e Gervais è l'unico comico inglese a fare da guest star nello show, ma soprattutto l'unico ospite a scrivere personalmente il proprio episodio: è “Homer, this is your wife”, record di audience nel Regno Unito.

La sua comicità nasce dalla satira sociale, dallo sguardo impietoso sulle goffaggini, i passi falsi, le meschinità del comportamento umano. Vanità, finzione, disperata voglia di riconoscimento accomunano i suoi antieroi, così divertenti e al tempo stesso penosi da guardare. Gervais la definisce “commedia dell'imbarazzo, con buone dosi di ego e disperazione”. Per un inglese, spiega, non c'è niente di peggio della pubblica ver-gogna.

Entourage.L'esame di coscienza di una telespettatrice edonista

Cosa fareste, o avreste fatto, se a 25 anni il vostro migliore amico fosse diventato una star del cinema e vi portasse con sé a vivere alla grande a Hollywood?

Io, sicuramente a quest'ora non sarei laureata, avrei un viso riposato e abbronzato, un guardaroba e una cineteca molto più grandi, album delle vacanze più numerosi ed esotici, un cuoco indiano personale, un principio di alcolismo e un vago ricordo del mondo prima di mezzogiorno.

In fondo i quattro protagonisti di Entourage, tra una festa in piscina e una scappata a Las Vegas, si comportano decisamente bene: ogni mattina preparano la colazione tutti insieme e mangiano in modo sano, partecipano regolarmente alle riunioni con l'agente e malgrado la villa di Marlon Brando, le sneaker di lusso, l'home theatre, i compleanni sullo yacht e altre esotici modi di spendere soldi, riescono ad evitare la bancarotta. Si ricordano anche di lavorare. Ci tengono, persino. Wow!

Tutto sommato, sotto la patina glamour, il linguaggio non proprio oxfordiano, (le espressioni più ricorrenti "fuckin' moron" e "douchebag"), l'ossessione per le belle ragazze ("pussy"), Entourage è un telefilm educativo!


Risposte ai problemi della vita, # 24

"Nobody's happy in this town except for the losers. Look at me. I'm miserable. That's why I'm rich".

Ari Gold, Entourage

La solita telespettatrice contro i soliti stereotipi sessisti


Il cinema è in maggioranza scritto da uomini. Non stupisce quindi che i protagonisti siano per lo più uomini. Alle donne spesso non resta che fare le coprotagoniste, in genere in ruoli di amanti, mogli o madri.

Mi piace pensare che la TV in questi ultimi anni si sia spinta più avanti, regalandoci non solo una grande quantità di protagoniste femminili ma anche una grande varietà di ruoli... Intendo la TV americana dei telefilm, non quella italiana fatta di tette, culi ed Elisa di Rivombrosa.



Flash Forward, però, almeno per ora, fa eccezione. Anzi, in queste primissime puntate sembra applicare alla perfezione la trita formula della coprotagonista. Mentre gli uomini si vedono, nel futuro, mentre svolgono il loro lavoro o compiono azioni importanti, le visioni delle donne le relegano nei tradizionali, stereotipati ruoli di mogli e madri.
Le visioni dei personaggi femminili li definiscono non in base alle loro azioni o alla professione ma in base alle relazioni con gli altri personaggi
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Olivia si vede in casa, in sottoveste, chiama " amore" un uomo diverso da suo marito.
Zoey vede il suo matrimonio da favola alle Hawaii.
Janis si vede incinta mentre fa eun'ecografia che le rivela che aspetta una bambina.
Felicia si vede mentre rimbocca le coperte a un bambino che la chiama "mamma".
E vai con gli stereotipi: la donna si realizza principalmente nelle relazioni interpersonali, il suo scopo nella vita è sposarsi e avere dei figli, ha sempre bisogno di un'altra persona che dia un senso alla sua esistenza, bla bla bla...

Riepilogando: 2 neomamme e 2 neo mogli o amanti, questo riserva il futuro alle donne. Mentre il mondo, lì fuori, si avvia verso la catastrofe.

Cougar! La telespettatrice si confronta con ragazze madri, vedove e panterone suburbane.

Un vicino playboy e sarcastico.
Un'assistente con un fisico da maggiorata e un cervello da minorata.
Una vicina irresistibilmente stronza, tiranna col marito e spietata con l'assistente di cui sopra.

Un sexy fidanzato di vent'anni più giovane.
Un ex marito sempre a torso nudo che sembra uscito da un video dei Bon Jovi anni '80, che vive in una barca in un parcheggio e gira su una golf car.
E, per finire, un figlio miracolosamente equilibrato, ironico e paziente.

Fin qui tutto bene. Improbabile, certo. Assurdo, sicuro. Ma in un teleflm funziona. E fa ridere. Allora
cosa manca? Cos'è che mi trattiene dall'amare con abbandono questo Cougar Town, come già, per esempio, Una mamma per amica o Weeds? La protagonista.


Jules Cobb è un personaggio comico, parla troppo, colleziona figuracce, è un po' nevrotica, un po' sfigata, un po' fissata. L'attrice che la interpreta deve essere impeccabile nelle parti comiche e sexy quanto basta da rendere credibile la sua trasformazione in cougar, cioè, nel gergo americano, panterona in caccia di giovani prede.

Courtney Cox è credibile come quarantenne sexy ma non come quarantenne goffa, pasticciona e in lotta con lo scorrere del tempo. E' troppo perfetta, troppo in linea, ha i lineamenti scolpiti, non ha un etto di troppo anzi è secca come solo un'attrice hollywoodiana, ed è uguale con trucco e senza trucco (il che rovina svariate battute in proposito nel corso del telefilm). Gli stessi ingredienti che la rendevano perfetta come algida spietata direttrice della rivista scandalistica in Dirt.


Certo, anche Lauren Graham alias Lorelai Gilmore era decisamente più bella della ragazza madre media americana, così come Mary Louise Parker alias Nancy Botwin è più attraente della vedova suburbana media.
Ma riuscivano nel miracolo: noi spettatrici ci identificavamo in loro. E' un'alchimia rara fatta di tempi comici e physique du role. Courtney non mi sembra avere nessuno dei due.
Forse l'ex collega di Friends, Jennifer Aniston, srebbe stata una scelta più azzeccata. A proposito, ma che fine ha fatto?

Lame Rotanti! Cartoon giapponesi alla radio svizzera

Non perdete le 16 puntate di Lame Rotanti - Cartoni animati... da buone intenzioni! Con l'incredibile coppia Lucrezia Corti & Elisa Manca. Rete Uno, Radio Svizzera.

Il principe alieno e il principe dei mostri, il maiale sulla palma e il villaggio pinguino, orfanelli sfigatissimi e calciatori dal piede d'acciaio, robot tettute e tenniste masochiste, travestiti alla corte del re e piccole spacciatrici nell'Olimpo, ladri sexy e pirati gentiluomini, dischi volanti e poppanti volanti, l'alabarda spaziale e il servizio supersonico, il raggio protonico e la goccia di ciclone...

Non sono sotto acido, sto solo rievocando la mia infanzia... Ok, anche così suona male.... Riproviamo: sto rievocando i mitici cartoni giapponesi degli anni '70 e '80, quelli con cui tanti di noi sono scresciuti... male, forse? Beh, poteva andare peggio! Perché quegli anime ci hanno sempre fatto sognare, riflettere, spaventare e ridere fino alle lacrime; ci hanno insegnato il valore dell'amicizia, dell'impegno, della pace; ci hanno aperto mondi fantastici e fatto vedere con nuovi occhi il nostro; hanno mostrato che l'infanzia ha i suoi drammi e vanno rispettati e che i bambini spesso sono più saggi degli adulti; ci hanno fatto innamorare di eroi così affacinanti che dopo trent'anni non li abbiamo ancora dimenticati.

Link per il podcast:
http://www.rsi.ch/podcast/

Buon ascolto!

Ciriciao gente!!!

Risposte ai problemi della vita, # 23

"Metterò il pannolone perché sono un chirurgo, perché questa è l'America, e farò ciò che va fatto".

Lexie Grey, Grey's Anatomy

Risposte ai problemi della vita, # 22

"Sarà un sicuro disastro, come mangiare un burrito prima di fare sesso!"

Jack Donaghy, 30 Rocks

Gli orfanelli: a volte ritornano. La sconcertante scoperta di una telespettatrice masochista



Dopo aver a lungo, e a ragione, rimandato, ho preso coraggio e ho guardato i primi 2 episodi di Grey's Anatomy, stagione 6. Wow, che botta! Sembrava di asisstere alla dimostrazione della legge di Murphy: se qualcosa può andare storto, lo farà.


Così finalmente ho capito: Meredith Grey è la fottuta Ape Magà. E io sono la stessa bambina masochista di 30 anni fa.


Grey's è l'equivalente per adulti degli anime strappalacrime sugli orfanelli che guardavamo da bambini.

Stessa visione della vita all'insegna della Sfiga, stesso accanimento sadico sui personaggi, stesso dissidio interiore di noi spettatori, tormentati dal grande interrogativo "perché mi infliggo questa punizione una volta a settimana?" ma allo stesso tempo incapaci di smettere.

Già, ripensando a Remi, Peline e alla terribile, terribile Ape Magà mi sono chiesta spesso: perché li guardavo se mi facevano stare male? Per grey's Anatomy vale la stessa domanda... e gli stessi tentativi di risposta: per aspettare il lieto fine in cui tutti vivranno felici e contenti? Per vedere fin dove può arrivare la miseria umana, anche detta La Sfiga? Per confrontare lo show con la nostra vita e realizzare che tutto sommato ce la passiamo piuttosto bene? Perché siamo perversi e un po' sadomaso? L'ultima sembra la più probabile.

Mi consolo pensando che non sono da sola, è una perversione di massa.

La riflessione della solita telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 3


"Una risata può essere molto potente. A volte è l'unica arma che abbiamo". Roger Rabbit
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Qualcuno potrebbe obiettare che di questi tempi c'è poco da ridere: il riscaldamento globale, il terrorismo, l'incertezza economica, la guerra in Iraq, in Palestina e in troppi altri paesi del mondo...
Ma in passato, forse per spirito di sopravvivenza, l'arte della risata ha resistito a prove altrettanto difficili
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superando brillantemente crisi economiche ed energetiche. Anzi, proprio i momenti storici più drammatici hanno visto la nascita di nuovi tipi di commedie che riuscivano, con l'evasione o la satira, a rendere più sopportabile la realtà.


Negli anni '70, tra guerra fredda, Vietnam, crisi petrolifera, conflitti sociali, la commedia ha reagito all'assalto della realtà... aprendole le porte: nei salotti delle sitcom sono entrate le questioni politiche e sociali, i conflitti di classe e quelli razziali, e tutti gli argomenti controversi del momento. Aborto, razzismo, inflazione, sessismo, criminalità, politiche sociali, violenza carnale erano moventi del plot e motivo di risate nella sitcom Arcibaldo, in cui il burbero e cocciuto protagonista, un uomo all'antica, si scontrava quotidianamente con la figlia e il fidanzato di idee liberali.

In Mash, i medici di un anarchico e strampalato ospedale da campo organizzavano scherzi, tornei e goliardate degne di Animal House mentre affrontano l'orrore della guerra di Corea: nasceva così la dramedy, drama e comedy insieme, per mostrare con un punto di vista innovativo l'assurdità della guerra e, al tempo stesso, la bellezza della vita.

Erano due show che riuscivano a unire comicità e politica.
Non avevano paura di far pensare. Ne di far ridere. La comicità è un antidoto potente contro le situazioni più difficili, sia che scelga la via più facile dell'evasione, sia che opti per quella più impegnata della satira.
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E ora? L'unico antidoto di cui disponiamo sembra essere l'eroe (medici & poliziotti) o il supereroe (Heroes & Co.).
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Leopardi scrisse: "Chi ha il coraggio di ridere è il padrone del mondo. Come chi ha il coraggio di morire".
Ultimamente sembriamo privilegiare la seconda opzione.
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Vuoi vedere che, non solo viviamo in tempi difficili, ma abbiamo anche perso il senso dell'umorismo? Questa sarebbe davvero una tragedia!

L'invocazione della telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 2

Un giorno senza un sorriso è un giorno perso”. Charlie Chaplin

Ridatemi qualcosa che faccia ridere, ridatemi le commedie.

Ridatemi i salotti, così familiari, delle sitcom in cui personaggi riescono sempre a fare la cosa sbagliata al momento sbagliato, mentendo in modo compulsivo per rimediare al loro errore, e poi continuando a mentire per coprire la bugia precedente, in un esilarante crescendo di assurdità che ci fa ridere e vergognare per loro allo stesso tempo (e dimenticare quelle insopportabili risate registrate).


Ridatemi J.D. di Scrubs, un medico che ha anche una vita privata, un mondo immaginario, un padre e un fratello che lo vanno a trovare e conosce tutti i telefilm degli anni '70.


Ridatemi Sex and the city in cui, sebbene tutte e quattro le protagoniste abbiano un impiego, la parte più interessante della loro vita si svolge altrove, a casa, al ristorante, in strada, tra le lenzuola, e non dobbiamo, se non occasionalmente, sorbirci i loro problemi sul lavoro.


Ridatemi i Jefferson e il loro sarcasmo, per trattare in modo diverso razzismo, pregiudizi e conflitti di classe.


Ridatemi gli Innamorati pazzi Paul & Jaime e Dharma & Greg, e i loro adorabili folli suoceri: tutte coppie litigiose e stranamente assortite ma irrimediabilmente felici.


Ridatemi Arrested Development, forse la migliore sitcom mai scritta, sicuramente la peggiore famiglia televisiva mai vista, per ridere di conflitti edipici e guai giudiziari, di dipendenza da psicofarmaci e dell'embargo in Iraq e rivalutare tra le risate i propri familiari.


Ridatemi Seinfeld che con i suoi amici parla di Pez Dispenser, donne con le mani da uomo, uomini che si mettono le dita nel naso, di quanto la parte superiore dei muffin sia più buona della base, di quanto tempo sia possibile resistere senza masturbarsi... e di quanto sarebbe bella una sitcom che parlasse di argomenti così superflui.

To be continued...

Non c'è niente da ridere. L'invettiva di una telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 1

Nessuno è mai morto dal ridere”. Max Beerbohm

Sono stufa di guardare ragazzi trapassati da parte a parte da alberi o pali della luce, medici che dicono con aria grave “abbiamo fatto il possibile per suo figlio, ma non c'è stato niente da fare”, interminabili piani sequenza su genitori che si struggono dal dolore.


Sono stufa di sorbirmi delitti sempre più morbosi e splatter, poliziotti sempre più noiosi e monolitici, con le loro squadra ultraspecializzate in cui ognuno ha una competenza specifica ma nessuno ha una personalità propria.


Sono stufa di vedere creature mitologiche mezzi poliziotti mezzi medici, con l'insostenibile pesantezza dell'essere e la mancanza di ironia d'entrambi, sempre intenti a dissezionare cadaveri e raschiare ossa, impassibili davanti a corpi liquefatti e topi che escono dalle budella.


Sono arcistufa di vedere personaggi a una dimensione, medici e poliziotti che vivono solo per il lavoro, si accoppiano solo con i colleghi, parlano solo di lavoro e dei colleghi con cui si accoppiano (perché evidentemente non sono mai stati al cinema, a ballare con gli amici, in vacanza), sono egocentrici e stressati come se ogni giorno spettasse a loro salvare il mondo, e soprattutto si prendono sempre così maledettamente sul serio.

C'è troppa serietà in TV ultimamente. La serietà è sopravvalutata.

To be continued...

Risposte ai problemi della vita, # 21

"I can't decide which is riskier: taking crazy risks, or taking advice on crazy risks from a crazy risk taker".

Gregory House, House

"I see dead people" ovvero Amore o Tumore II - la Vendetta


Amore o tumore? This is the question.
Again.

L'amletico interrogativo che aveva già allietato due indimenticabili episodi di Grey's anatomy è diventato ora il fulcro dell'intera quinta stagione. Perché non sfruttare al massimo uno spunto così piacevole? devono essersi chiesti gli sceneggiatori.

Amore o tumore, dunque.
E quello che ci chiediamo davanti alle allucinazioni di Izzie: la dottoressa Stevens non solo vede ovunque il suo defunto fidanzato, ma si intrattiene con lui in quotidiane conversazioni e bollenti notti. Un caso di estremo stress post traumatico o qualcosa di più grave? Ha le visioni perché è ancora innamorata di Dennis o perché ha un tumore al cervello?

La risposta dipenderà, suppongo dal rinnovo del contratto dell'attrice. Se Katherine Heigl ottiene l'aumento, è amore. Se riceve un'offerta migliore, è tumore.

In entrambi i casi sarà una lagna. Nel consueto stile Izzie Stevens.


Si affaccia anche una terza possibilità: la Heigl ottiene tutto, l'aumento e uno spinoff tutto suo, da protagonista.
Per lanciarlo, un bel (si fa per dire) crossover con Ghost Whisper. Già me lo immagino: in un lacrimosissimo doppio episodio, l'altrettanto lagnosa Melinda aiutera la nostra beniamina a liberarsi del suo fantasma. Ma solo dopo una gioiosa uscita a quattro con i loro fidanzati morti.
Dopodiché Izzie sarà matura per avviare un'attività paranormale tutta sua... all'interno del Seattle Grace! Quale posto migliore di un ospedale per avvistare fantasmi?

Tutti i pazienti che i suoi colleghi non riusciranno a salvare, passeranno nelle cure post mortem di di Izzie che con la sua sensibilità li aiuterà a trovare la strada per l'aldilà.

Titolo provvisorio dello spinoff: Grace Whisperer.

O è meglio Ghost anatomy?

Vivere e, soprattutto, morire, poco a poco, a Los Angeles


"Specialissimo, imperdibile, eccezziunale crossover Grey's Anatomy/Private Practice!" annunciava il messaggio pubblicitario alla fine dell ultimo episodio di Grey's anatomy. Ora, tanto incredibile non mi sembra visto che il secondo telefilm e' uno spinoff del primo. Non e' che stiamo parlando di Magnum P.I. che incontra la Signora Fletcher (e' successo!) o di Maciste contro Dracula (e' successo?).


Comunque, per l'occasione, ho deciso di infrangere il mio proponimento di molti mesi fa e tornare a vedere per una volta Private Practice. Dopo poci minuti mi sono ricordata del perche' avevo preso quella sana decisione: è un telefilm noioso. E, di fondo, molto squallido.

Deve essere per l'odore acre della sfiga che aleggia su tutti i protagonisti.
Persistente come la cappa di smog sul cielo di Los Angeles.


Non che i loro colleghi del Grace Hospital siano la personificazione della gioia di vivere, anzi... diaciamolo, sono una massa di frustrati: gente sola, senza alcun amico al di fuori dell ospedale, che si relaziona con i familiari solo quando questi finiscono, appunto, in ospedale (e poi, spesso, al cimitero), tutti con una rara collezione di storie sentimentali naufragate e un assortimento incredibile di turbe mentali, accomunati però da un inflessibile stakanovismo calvinista.

Eppure, nonostante tutto questo, sono affezionata ad ognuno di loro. Continuo, mio malgrado, ad appassionarmi alle loro vicende. E' forse qualcosa di morboso e malato che mi attrae, ma si tratta nondimeno di un'attrazione irresistibile, un vizio che crea dipendenza.
Insomma, il telefilm funziona.


Ma con Addison & Co. e' tutta un'altra storia... I protagonisti sono altrattanto sfigati degli allegri chirurghi di Seattle, ma lo sono in modo cosi' poco interessante!
La serie e' forse troppo realistica nel ritrarre la vita di questi quarantenni single, vedovi o divorziati, che lavorano in un banalissimo studio medico con tutti i banalissimi problemi di gestione connessi. Non sembrano avere grandi sogni, ne' molta speranza. La loro vita sembra gia' finita da tempo, prima dell'inizio del telefilm, con il divorzio o la morte del coniuge.
Sono un po' come i vecchietti che vanno ad appassire al caldo della Florida. O come gli immigrati di LA descritti da John Fante : "disperati che vengono a morire al sole".
Ed e' una lenta agonia.

Occhio alla penna! Max Mutchnick & David Kohan

Pubblicato su telefilm magazine n° 50, aprile 2009, rubrica "Occhio alla penna"

"Autori si nasce o si diventa? Max Mutchnick e David Kohan la scrittura sembrano avercela nel sangue: la mamma di Mutchnick è autrice di libri per bambini e produttrice per la Paramount; Kohan è figlio di un premiato sceneggiatore televisivo e di una romanziera, nonché fratello della futura creatrice di Weeds.

Amici d’infanzia conosciutisi sui banchi dell’esclusiva Beverly High, i due iniziano il loro sodalizio artistico nel '91 e da allora scrivono sempre insieme. La loro specialità è la sitcom che amano “perché dopo 2 sole settimane vedi già i frutti del tuo lavoro”. Il loro punto di forza è l’amicizia: Max e David traggono ispirazione e solidità dal loro vissuto comune. “La nostra relazione è come un matrimonio” spiega Mutchnick “nel senso che finiamo l'uno le frasi dell'altro e che non facciamo sesso”.

Il primo progetto personale, Boston Common (1996), è basato sugli anni passati insieme al college. I protagonisti di Will e Grace (1998-2006) sono modellati su Max stesso, gay dichiarato, e sulla sua migliore amica Janet, altra compagna di liceo dei due. Lo spunto autobiografico aiuta a dar vita a eroi che vanno oltre gli stereotipi e il risultato si vede: per la prima volta personaggi omosessuali conquistano il grande pubblico. La serie ottiene ben 73 nomination agli Emmy e ne vince 14.

La loro prossima sitcom parlerà di due affiatati colleghi che lavorano per la TV, uno etero, l'altro gay... vi ricorda qualcuno?

Occhio alla penna! Craig Wright

Pubblicato su Telefilm Magazine n° 49, marzo 2009, rubrica "Occhio alla penna"

Già prolifico e pluripremiato drammaturgo, Craig Wright è diventato uno dei nomi di punta della sceneggiatura televisiva lasciando la sua impronta inconfondibile in Six feet under, Lost, Brothers & sisters e, infine, Dirty sexy money, sua creazione originale.

La formazione di Wright è significativa quanto singolare: a 28 anni, deluso dalla cancellazione all’ultimo minuto di una sua pièce teatrale, cerca qualcosa di meno effimero cui dedicare le sue energie ed entra in seminario. Abbandona pochi anni dopo la vita religiosa, sull’onda del successo ottenuto nel frattempo dai suoi lavori. Ma spiega che pastori e sceneggiatori non hanno poi due vocazioni così differenti: entrambi cercano modi nuovi per porre domande antiche. Wright diffida delle religioni e dell’arte che offrono risposte.

I suoi script ruotano sempre attorno a quesiti etici ed esistenziali ed evitano ogni semplificazione e stereotipo. I suoi interrogativi risultano appassionanti e coinvolgenti: sono parte integrante delle vicende dei personaggi e risuonano nella vita degli spettatori.

La famiglia Fisher, Brenda, l’avvocato a un bivio, i naufraghi dell’isola misteriosa, i Walker e a modo loro anche i Darling: tutte le creature di Wright sono, in fondo, “lost”, alla ricerca di se stesse. Si chiedono cosa vogliono veramente e cosa sono disposte a perdere per raggiungerlo. Di episodio in episodio, tentano di dare una risposta alla grande domanda: quale è il significato della vita?