
Vampiri che amano troppo. Sazia di sangue, la telespettatrice si emoziona

Risposte ai problemi della vita # 27
Risposte ai problemi della vita # 26
Sookie pioggia di sangue. La telespettatrice assetata

Parenthood. Genitori, figli e la telespettatrice in dolce attesa


Risposte ai problemi della vita, # 25
Tracy Jordan, 30 Rock
Nurse Jackie. La telespettatrice tentata da un nuovo medical... D'OH!

Occhio alla penna! Jenji Kohan

Non si fanno preferenze tra fratelli qui a TFM, così dopo aver dedicato la rubrica del mese scorso a David Kohan, ora è il turno di Jenji, sua sorella.
Benché figlia d’arte, l'ultima dei Kohan si guadagna il successo lavorando sodo... fin da piccola: con una mamma scrittrice e un papà commediografo, le cene in famiglia sono sempre una palestra per affinare lo humour. “Le risate non erano concesse facilmente. Le battute sulle funzioni corporali poi, seppure divertenti, erano squalificate perché troppo facili!”.
Chiudiamo con la classifica dei premi di famiglia: ancora imbattuto papà Buz con 11 Emmy, solo 1 a testa per i figli, Jenji e David, ma tante nomination… continuate così ragazzi, ce la potete fare!
Occhio alla penna! Ricky Gervais

Il successo per lui arriva tardi. Con una laurea in filosofia e un breve passato da popsinger, Gervais lavora come manager per una radio londinese. Tentato dall'emozione del microfono, si ritaglia uno spazio notturno che ottiene altissimi ascolti; lo affianca il suo assistente Stephen Merchant, partner artistico di molte future creazioni. I due vanno tuttora in onda ogni domenica.
La sua comicità nasce dalla satira sociale, dallo sguardo impietoso sulle goffaggini, i passi falsi, le meschinità del comportamento umano. Vanità, finzione, disperata voglia di riconoscimento accomunano i suoi antieroi, così divertenti e al tempo stesso penosi da guardare. Gervais la definisce “commedia dell'imbarazzo, con buone dosi di ego e disperazione”. Per un inglese, spiega, non c'è niente di peggio della pubblica ver-gogna.
Entourage.L'esame di coscienza di una telespettatrice edonista

Io, sicuramente a quest'ora non sarei laureata, avrei un viso riposato e abbronzato, un guardaroba e una cineteca molto più grandi, album delle vacanze più numerosi ed esotici, un cuoco indiano personale, un principio di alcolismo e un vago ricordo del mondo prima di mezzogiorno.
In fondo i quattro protagonisti di Entourage, tra una festa in piscina e una scappata a Las Vegas, si comportano decisamente bene: ogni mattina preparano la colazione tutti insieme e mangiano in modo sano, partecipano regolarmente alle riunioni con l'agente e malgrado la villa di Marlon Brando, le sneaker di lusso, l'home theatre, i compleanni sullo yacht e altre esotici modi di spendere soldi, riescono ad evitare la bancarotta. Si ricordano anche di lavorare. Ci tengono, persino. Wow!
Tutto sommato, sotto la patina glamour, il linguaggio non proprio oxfordiano, (le espressioni più ricorrenti "fuckin' moron" e "douchebag"), l'ossessione per le belle ragazze ("pussy"), Entourage è un telefilm educativo!

Risposte ai problemi della vita, # 24
Ari Gold, Entourage
La solita telespettatrice contro i soliti stereotipi sessisti

Mi piace pensare che la TV in questi ultimi anni si sia spinta più avanti, regalandoci non solo una grande quantità di protagoniste femminili ma anche una grande varietà di ruoli... Intendo la TV americana dei telefilm, non quella italiana fatta di tette, culi ed Elisa di Rivombrosa.
Flash Forward, però, almeno per ora, fa eccezione. Anzi, in queste primissime puntate sembra applicare alla perfezione la trita formula della coprotagonista. Mentre gli uomini si vedono, nel futuro, mentre svolgono il loro lavoro o compiono azioni importanti, le visioni delle donne le relegano nei tradizionali, stereotipati ruoli di mogli e madri.
Le visioni dei personaggi femminili li definiscono non in base alle loro azioni o alla professione ma in base alle relazioni con gli altri personaggi.
Olivia si vede in casa, in sottoveste, chiama " amore" un uomo diverso da suo marito.
Zoey vede il suo matrimonio da favola alle Hawaii.
Janis si vede incinta mentre fa eun'ecografia che le rivela che aspetta una bambina.
Felicia si vede mentre rimbocca le coperte a un bambino che la chiama "mamma".
Riepilogando: 2 neomamme e 2 neo mogli o amanti, questo riserva il futuro alle donne. Mentre il mondo, lì fuori, si avvia verso la catastrofe.
Cougar! La telespettatrice si confronta con ragazze madri, vedove e panterone suburbane.

Una vicina irresistibilmente stronza, tiranna col marito e spietata con l'assistente di cui sopra.
Un sexy fidanzato di vent'anni più giovane.
Un ex marito sempre a torso nudo che sembra uscito da un video dei Bon Jovi anni '80, che vive in una barca in un parcheggio e gira su una golf car.
E, per finire, un figlio miracolosamente equilibrato, ironico e paziente.
Fin qui tutto bene. Improbabile, certo. Assurdo, sicuro. Ma in un teleflm funziona. E fa ridere. Allora cosa manca? Cos'è che mi trattiene dall'amare con abbandono questo Cougar Town, come già, per esempio, Una mamma per amica o Weeds? La protagonista.

Jules Cobb è un personaggio comico, parla troppo, colleziona figuracce, è un po' nevrotica, un po' sfigata, un po' fissata. L'attrice che la interpreta deve essere impeccabile nelle parti comiche e sexy quanto basta da rendere credibile la sua trasformazione in cougar, cioè, nel gergo americano, panterona in caccia di giovani prede.
Courtney Cox è credibile come quarantenne sexy ma non come quarantenne goffa, pasticciona e in lotta con lo scorrere del tempo. E' troppo perfetta, troppo in linea, ha i lineamenti scolpiti, non ha un etto di troppo anzi è secca come solo un'attrice hollywoodiana, ed è uguale con trucco e senza trucco (il che rovina svariate battute in proposito nel corso del telefilm). Gli stessi ingredienti che la rendevano perfetta come algida spietata direttrice della rivista scandalistica in Dirt.

Ma riuscivano nel miracolo: noi spettatrici ci identificavamo in loro. E' un'alchimia rara fatta di tempi comici e physique du role. Courtney non mi sembra avere nessuno dei due.

Lame Rotanti! Cartoon giapponesi alla radio svizzera






Link per il podcast: http://www.rsi.ch/podcast/
Buon ascolto!
Ciriciao gente!!!

Risposte ai problemi della vita, # 23
Lexie Grey, Grey's Anatomy
Risposte ai problemi della vita, # 22
Jack Donaghy, 30 Rocks
Gli orfanelli: a volte ritornano. La sconcertante scoperta di una telespettatrice masochista



Già, ripensando a Remi, Peline e alla terribile, terribile Ape Magà mi sono chiesta spesso: perché li guardavo se mi facevano stare male? Per grey's Anatomy vale la stessa domanda... e gli stessi tentativi di risposta: per aspettare il lieto fine in cui tutti vivranno felici e contenti? Per vedere fin dove può arrivare la miseria umana, anche detta La Sfiga? Per confrontare lo show con la nostra vita e realizzare che tutto sommato ce la passiamo piuttosto bene? Perché siamo perversi e un po' sadomaso? L'ultima sembra la più probabile.
La riflessione della solita telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 3


Ma in passato, forse per spirito di sopravvivenza, l'arte della risata ha resistito a prove altrettanto difficili, superando brillantemente crisi economiche ed energetiche. Anzi, proprio i momenti storici più drammatici hanno visto la nascita di nuovi tipi di commedie che riuscivano, con l'evasione o la satira, a rendere più sopportabile la realtà.
Negli anni '70, tra guerra fredda, Vietnam, crisi petrolifera, conflitti sociali, la commedia ha reagito all'assalto della realtà... aprendole le porte: nei salotti delle sitcom sono entrate le questioni politiche e sociali, i conflitti di classe e quelli razziali, e tutti gli argomenti controversi del momento. Aborto, razzismo, inflazione, sessismo, criminalità, politiche sociali, violenza carnale erano moventi del plot e motivo di risate nella sitcom Arcibaldo, in cui il burbero e cocciuto protagonista, un uomo all'antica, si scontrava quotidianamente con la figlia e il fidanzato di idee liberali.
In Mash, i medici di un anarchico e strampalato ospedale da campo organizzavano scherzi, tornei e goliardate degne di Animal House mentre affrontano l'orrore della guerra di Corea: nasceva così la dramedy, drama e comedy insieme, per mostrare con un punto di vista innovativo l'assurdità della guerra e, al tempo stesso, la bellezza della vita.
Erano due show che riuscivano a unire comicità e politica. Non avevano paura di far pensare. Ne di far ridere. La comicità è un antidoto potente contro le situazioni più difficili, sia che scelga la via più facile dell'evasione, sia che opti per quella più impegnata della satira.
m
Leopardi scrisse: "Chi ha il coraggio di ridere è il padrone del mondo. Come chi ha il coraggio di morire".
Ultimamente sembriamo privilegiare la seconda opzione.
L'invocazione della telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 2
“Un giorno senza un sorriso è un giorno perso”. Charlie Chaplin
Ridatemi qualcosa che faccia ridere, ridatemi le commedie.
Ridatemi i salotti, così familiari, delle sitcom in cui personaggi riescono sempre a fare la cosa sbagliata al momento sbagliato, mentendo in modo compulsivo per rimediare al loro errore, e poi continuando a mentire per coprire la bugia precedente, in un esilarante crescendo di assurdità che ci fa ridere e vergognare per loro allo stesso tempo (e dimenticare quelle insopportabili risate registrate).
Ridatemi J.D. di Scrubs, un medico che ha anche una vita privata, un mondo immaginario, un padre e un fratello che lo vanno a trovare e conosce tutti i telefilm degli anni '70.
Ridatemi Sex and the city in cui, sebbene tutte e quattro le protagoniste abbiano un impiego, la parte più interessante della loro vita si svolge altrove, a casa, al ristorante, in strada, tra le lenzuola, e non dobbiamo, se non occasionalmente, sorbirci i loro problemi sul lavoro.
Ridatemi i Jefferson e il loro sarcasmo, per trattare in modo diverso razzismo, pregiudizi e conflitti di classe.
Ridatemi gli Innamorati pazzi Paul & Jaime e Dharma & Greg, e i loro adorabili folli suoceri: tutte coppie litigiose e stranamente assortite ma irrimediabilmente felici.
Ridatemi Arrested Development, forse la migliore sitcom mai scritta, sicuramente la peggiore famiglia televisiva mai vista, per ridere di conflitti edipici e guai giudiziari, di dipendenza da psicofarmaci e dell'embargo in Iraq e rivalutare tra le risate i propri familiari.
Ridatemi Seinfeld che con i suoi amici parla di Pez Dispenser, donne con le mani da uomo, uomini che si mettono le dita nel naso, di quanto la parte superiore dei muffin sia più buona della base, di quanto tempo sia possibile resistere senza masturbarsi... e di quanto sarebbe bella una sitcom che parlasse di argomenti così superflui.
To be continued...
Non c'è niente da ridere. L'invettiva di una telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 1





“Nessuno è mai morto dal ridere”. Max Beerbohm
Sono stufa di guardare ragazzi trapassati da parte a parte da alberi o pali della luce, medici che dicono con aria grave “abbiamo fatto il possibile per suo figlio, ma non c'è stato niente da fare”, interminabili piani sequenza su genitori che si struggono dal dolore.
Sono stufa di sorbirmi delitti sempre più morbosi e splatter, poliziotti sempre più noiosi e monolitici, con le loro squadra ultraspecializzate in cui ognuno ha una competenza specifica ma nessuno ha una personalità propria.
Sono stufa di vedere creature mitologiche mezzi poliziotti mezzi medici, con l'insostenibile pesantezza dell'essere e la mancanza di ironia d'entrambi, sempre intenti a dissezionare cadaveri e raschiare ossa, impassibili davanti a corpi liquefatti e topi che escono dalle budella.
Sono arcistufa di vedere personaggi a una dimensione, medici e poliziotti che vivono solo per il lavoro, si accoppiano solo con i colleghi, parlano solo di lavoro e dei colleghi con cui si accoppiano (perché evidentemente non sono mai stati al cinema, a ballare con gli amici, in vacanza), sono egocentrici e stressati come se ogni giorno spettasse a loro salvare il mondo, e soprattutto si prendono sempre così maledettamente sul serio.
C'è troppa serietà in TV ultimamente. La serietà è sopravvalutata.
To be continued...
Risposte ai problemi della vita, # 21
Gregory House, House
"I see dead people" ovvero Amore o Tumore II - la Vendetta


Vivere e, soprattutto, morire, poco a poco, a Los Angeles

Occhio alla penna! Max Mutchnick & David Kohan

"Autori si nasce o si diventa? Max Mutchnick e David Kohan la scrittura sembrano avercela nel sangue: la mamma di Mutchnick è autrice di libri per bambini e produttrice per la Paramount; Kohan è figlio di un premiato sceneggiatore televisivo e di una romanziera, nonché fratello della futura creatrice di Weeds.
Amici d’infanzia conosciutisi sui banchi dell’esclusiva Beverly High, i due iniziano il loro sodalizio artistico nel '91 e da allora scrivono sempre insieme. La loro specialità è la sitcom che amano “perché dopo 2 sole settimane vedi già i frutti del tuo lavoro”. Il loro punto di forza è l’amicizia: Max e David traggono ispirazione e solidità dal loro vissuto comune. “La nostra relazione è come un matrimonio” spiega Mutchnick “nel senso che finiamo l'uno le frasi dell'altro e che non facciamo sesso”.
Il primo progetto personale, Boston Common (1996), è basato sugli anni passati insieme al college. I protagonisti di Will e Grace (1998-2006) sono modellati su Max stesso, gay dichiarato, e sulla sua migliore amica Janet, altra compagna di liceo dei due. Lo spunto autobiografico aiuta a dar vita a eroi che vanno oltre gli stereotipi e il risultato si vede: per la prima volta personaggi omosessuali conquistano il grande pubblico. La serie ottiene ben 73 nomination agli Emmy e ne vince 14.
La loro prossima sitcom parlerà di due affiatati colleghi che lavorano per la TV, uno etero, l'altro gay... vi ricorda qualcuno?
Occhio alla penna! Craig Wright

Già prolifico e pluripremiato drammaturgo, Craig Wright è diventato uno dei nomi di punta della sceneggiatura televisiva lasciando la sua impronta inconfondibile in Six feet under, Lost, Brothers & sisters e, infine, Dirty sexy money, sua creazione originale.
La formazione di Wright è significativa quanto singolare: a 28 anni, deluso dalla cancellazione all’ultimo minuto di una sua pièce teatrale, cerca qualcosa di meno effimero cui dedicare le sue energie ed entra in seminario. Abbandona pochi anni dopo la vita religiosa, sull’onda del successo ottenuto nel frattempo dai suoi lavori. Ma spiega che pastori e sceneggiatori non hanno poi due vocazioni così differenti: entrambi cercano modi nuovi per porre domande antiche. Wright diffida delle religioni e dell’arte che offrono risposte.
I suoi script ruotano sempre attorno a quesiti etici ed esistenziali ed evitano ogni semplificazione e stereotipo. I suoi interrogativi risultano appassionanti e coinvolgenti: sono parte integrante delle vicende dei personaggi e risuonano nella vita degli spettatori.
La famiglia Fisher, Brenda, l’avvocato a un bivio, i naufraghi dell’isola misteriosa, i Walker e a modo loro anche i Darling: tutte le creature di Wright sono, in fondo, “lost”, alla ricerca di se stesse. Si chiedono cosa vogliono veramente e cosa sono disposte a perdere per raggiungerlo. Di episodio in episodio, tentano di dare una risposta alla grande domanda: quale è il significato della vita?