L'invocazione della telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 2

Un giorno senza un sorriso è un giorno perso”. Charlie Chaplin

Ridatemi qualcosa che faccia ridere, ridatemi le commedie.

Ridatemi i salotti, così familiari, delle sitcom in cui personaggi riescono sempre a fare la cosa sbagliata al momento sbagliato, mentendo in modo compulsivo per rimediare al loro errore, e poi continuando a mentire per coprire la bugia precedente, in un esilarante crescendo di assurdità che ci fa ridere e vergognare per loro allo stesso tempo (e dimenticare quelle insopportabili risate registrate).


Ridatemi J.D. di Scrubs, un medico che ha anche una vita privata, un mondo immaginario, un padre e un fratello che lo vanno a trovare e conosce tutti i telefilm degli anni '70.


Ridatemi Sex and the city in cui, sebbene tutte e quattro le protagoniste abbiano un impiego, la parte più interessante della loro vita si svolge altrove, a casa, al ristorante, in strada, tra le lenzuola, e non dobbiamo, se non occasionalmente, sorbirci i loro problemi sul lavoro.


Ridatemi i Jefferson e il loro sarcasmo, per trattare in modo diverso razzismo, pregiudizi e conflitti di classe.


Ridatemi gli Innamorati pazzi Paul & Jaime e Dharma & Greg, e i loro adorabili folli suoceri: tutte coppie litigiose e stranamente assortite ma irrimediabilmente felici.


Ridatemi Arrested Development, forse la migliore sitcom mai scritta, sicuramente la peggiore famiglia televisiva mai vista, per ridere di conflitti edipici e guai giudiziari, di dipendenza da psicofarmaci e dell'embargo in Iraq e rivalutare tra le risate i propri familiari.


Ridatemi Seinfeld che con i suoi amici parla di Pez Dispenser, donne con le mani da uomo, uomini che si mettono le dita nel naso, di quanto la parte superiore dei muffin sia più buona della base, di quanto tempo sia possibile resistere senza masturbarsi... e di quanto sarebbe bella una sitcom che parlasse di argomenti così superflui.

To be continued...

Non c'è niente da ridere. L'invettiva di una telespettatrice in astinenza da sitcom. Parte 1

Nessuno è mai morto dal ridere”. Max Beerbohm

Sono stufa di guardare ragazzi trapassati da parte a parte da alberi o pali della luce, medici che dicono con aria grave “abbiamo fatto il possibile per suo figlio, ma non c'è stato niente da fare”, interminabili piani sequenza su genitori che si struggono dal dolore.


Sono stufa di sorbirmi delitti sempre più morbosi e splatter, poliziotti sempre più noiosi e monolitici, con le loro squadra ultraspecializzate in cui ognuno ha una competenza specifica ma nessuno ha una personalità propria.


Sono stufa di vedere creature mitologiche mezzi poliziotti mezzi medici, con l'insostenibile pesantezza dell'essere e la mancanza di ironia d'entrambi, sempre intenti a dissezionare cadaveri e raschiare ossa, impassibili davanti a corpi liquefatti e topi che escono dalle budella.


Sono arcistufa di vedere personaggi a una dimensione, medici e poliziotti che vivono solo per il lavoro, si accoppiano solo con i colleghi, parlano solo di lavoro e dei colleghi con cui si accoppiano (perché evidentemente non sono mai stati al cinema, a ballare con gli amici, in vacanza), sono egocentrici e stressati come se ogni giorno spettasse a loro salvare il mondo, e soprattutto si prendono sempre così maledettamente sul serio.

C'è troppa serietà in TV ultimamente. La serietà è sopravvalutata.

To be continued...

Risposte ai problemi della vita, # 21

"I can't decide which is riskier: taking crazy risks, or taking advice on crazy risks from a crazy risk taker".

Gregory House, House