Desperate Housewives. A volte ritornano.

Non so resistere al richiamo delle casalinghe disperate. E ogni riferimento alla mia vita personale di freelance casalinga con telelavoro è puramente casuale.
Ho guardato la prima stagione con un'eccitazione simile a quella provata nel leggere i primi Harry Potter: l'ansia e il piacere di svelare poco a poco il mistero sulla vita segreta dei vicini.
Mi sono divertita anche con la tanto criticata seconda stagione, non all'altezza della precedente ma così piena di trovate, per quanto tutte assurde e implausibili, da soddisfare il mio appettito serale di storie; ricordo con particolare piacere la caduta di Bree da casalinga perfetta ad alcolista assassina e madre snaturata... aaaah, cosa chiedere di più ad una serata davanti la TV?

Ora, questa terza stagione unisce i pregi delle due precedenti: c'è un giallo centrale intrigante, quello legato a Orson (decisamente più ambiguo e sottile di quello con lo scemo rinchiuso in cantina che faceva proprio horror di serie B) e c'è un'incredibile densità di storie. Solo che stavolta molte di queste storie si richiamano ad avvenimenti e personaggi della prima stagione, quindi non fanno l'effetto di proposte strampalate lanciate lì senza una linea coerente da sceneggiatori a corto id idee per rimpolpare il debole giallo principale.
Così, per la gioia dello spettatore fedele, ieri sera sono tornati nel microcosmo di Wisteria Lane l'inquietante Paul e l'imprevedibile Zack... Coerentemente, visto che i due episodi erano dedicati a un altro ritorno dal passato, quello della (ex?) moglie di Orson. Che, data per morta, sembra tornare dall'aldilà. Come l'ispirazione degli sceneggiatori.

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